MRS HAROY, LA MEMORIA DELLA BALENA
Jean Portante
Il romanzo in gran parte autobiografico di Jean Portante pubblicato nel 2006, “Mrs Haroy, la memoria della balena”, prende vita dall’incontro di due temi principali: la sua condizione di figlio di emigranti italiani e il ricordo di una balena esibita in carne ed ossa nel 1953 su un lungo vagone ferroviario della stazione di Lussemburgo.
L’intera narrazione della vita di Claudio è animata dalla metafora che unisce una balena, Mrs Haroy, e un emigrato, Claudio alias Claude alias Clodi. La metafora diviene un punto di partenza solo apparentemente paradossale: come l’emigrato che, partito a malincuore dal luogo d’origine, sogna l’impossibile ritorno, così la balena, pur avendo abbandonato la terra milioni di anni fa per andare a vivere nel mare, ha ancora in sé qualcosa della terra perduta. Si armonizzano così in modo apparentemente spontaneo l’aspetto simbolico del libro, la metafora, in questo caso la balena, e il dramma della lacerazione dell’emigrazione e della vita umana. Si può dire infatti che nella sua esistenza, resa sempre più fragile dai ripetuti massacri che l’accompagnano, la balena assurge a simbolo della precarietà del mondo e soprattutto dell’essere umano, sempre più lacerato da difficoltà materiali, sofferenze morali, conflitti e persecuzioni.
I personaggi, soprattutto il narratore e i suoi genitori, in quanto migranti, vivono immersi nella situazione del né questo, né quello, in un mondo che per loro è irrimediabilmente scisso. Come la balena che non è né pesce pur vivendo nel mare, né animale terrestre pur avendo bisogno di respirare fuor d’acqua, Claudio e i membri della sua famiglia non sono né italiani né lussemburghesi. Si sentono in transito tra due territori senza riuscire mai a provare un vero senso di appartenenza e si ritrovano in qualche modo sdoppiati: hanno due luoghi, due nomi, due memorie, due lingue. Se all’interno della famiglia si creano diversi modi di intendere la migrazione (il padre e il fratello maggiore optano per un’acculturazione rapida nel luogo d’arrivo, mentre la madre si ostina a vedere l’emigrazione come provvisoria), Claudio capisce chiaramente che il soggiorno a Differdange è allo stesso tempo una condizione provvisoriamente definitiva e un destino definitivamente provvisorio. Claudio tornerà sui luoghi d’origine, ormai del tutto irriconoscibili, tentando di ricostruire un passato contemporaneamente personale e collettivo. Ma, in questo romanzo autobiografico, il tema della nostalgia, che può mitizzare e abbellire la realtà del passato, si elabora non tanto nei luoghi, quanto nel percorso che li separa, nel viaggio. Nell’immaginario dell’autore continua a restare vivo il luogo mitico della partenza sentito come un paradiso perduto e uno sterile rimpianto.
Questo viaggio nella memoria è sapientemente condotto da Jean Portante con modalità del tutto originali, in cui elemento autobiografico, rivisitazioni letterarie, meditazione che si interroga sui destini del mondo si elaborano in una sintesi felice e carica di suggestioni. In questo narrare generoso gli innumerevoli miti delle balene che la poetica di tutti i tempi e sotto ogni latitudine annovera si affiancano al racconto severo della migrazione affidato al tenero sguardo di un bambino.
Jean Portante, nato nel 1950 a Differdange, discende da una famiglia italiana emigrata a più riprese, nel corso del ‘900, dall’Abruzzo nel bacino minerario del Lussemburgo. Esponente di spicco della scena letteraria lussemburghese, è autore di più di una ventina di opere pubblicate dagli anni ottanta: poesie, romanzi, racconti, drammi teatrali e saggi attraverso i quali prosegue la sua rivolta contro la deriva del mondo. Scrive in francese, una delle tre lingue ufficiali del Granducato, ma molte delle sue opere sono state tradotte in vari paesi. Ha ottenuto inoltre diversi riconoscimenti internazionali, tra cui il Prix Mallarmé nel 2003.